Seconda persona:
Immagina un caldo così asfissiante e denso da poter essere quasi toccato; una sensazione di malessere palpabile, fisica nel senso più stretto del termine. Esserci in mezzo, al lattiginoso umido caldo sublimato in nebbia – come quella di Stephen King – ma meno abitata di mostri volanti – ma più abitata di spettri presenti e personali.
Prima persona:
Mi ci immergo, solo, anzi no. J è con me; controlla e mi segue, annusa e mi guarda. Sono sicuro stia captando qualcosa. Chissà cosa…probabilmente vuole comunicarmelo. Non capisco.
Intravedo le Ombre che mi aspettavo.
Ombre del futuro (poche) – ombre del passato (molte).
Terza persona:
Improvvisamente la superficie bianca sulla quale camminiamo comincia ad alzarsi ed abbassarsi in un ritmico singhiozzo. Simile ad una giostra guasta, di quelle che hanno perso il loro ritmo meccanico. Ossia l’essenza stessa del loro scopo ed esistenza artificiale.
J non si scompone; mi osserva. E’ per ora l’unico compagno di viaggio accettabile. Probabilmente perché essere più ‘vivo’ di quanto lo possa essere io stesso. Questo è rassicurante seppur conflittuale.
Le Ombre svicolano fluide nella nebbia, ritagli di nero su tela bianca, pesci di un acquario senza bordi ne confini entro il quale il respiro è affannoso come in salita.
Prima persona:
Sto muovendomi carico delle vestigia di un’esistenza non vissuta; d’un desiderio mai profanato; d’un cancello mai attraversato. Rincorro con lo sguardo le Ombre mentre passeggio; senza esserne ricambiato.