L’impianto sub-corticale è un alternatore di stimoli in motion capture; piccoli burattini dalle sembianze d’esseri viventi ma congelati in istantanee nel tempo. Un trucco in persistenza retinica, nulla più, pari a fattore zero.
Quindi si ricerca; con disperazione e poco interesse. Pressioni e percussioni, tagli, cateterismi emotivi preservati da inoculazioni misurate in gauge e millilitri liquidi. Dentro c’è qualcosa di incandescente che non accenna a spegnersi. Risale ad impulso compatto ogni quando, sistematicamente, con ritmo inarrestabile. Solchi vergati sulla pelle per facilitarne l’uscita, per vederne il colore, assaporarne l’olezzo. Segnali di ricerca vitale. ‘Se sanguina può essere ucciso’; se può essere ucciso un tempo era in vita.
Probabilistiche miscellanee di teorie amputate sul nascere. Acefale figure che della retorica si cibano per generare compassionevoli moti di schifo. Le loro mani scorrono sul telaio della misoginia a tessere quel dolore sottocutaneo che deve persistere, in quanto rappresentativo dell’essere privo di armonia.
Microlesioni. Negli invisibili scorci della carne ricercare la rappresentazione del dolore altrui quasi a voler sublimare il proprio.