Nell’incrollabile certezza d’essere stato progettato per non avere limiti ed una sopportazione infinita, quei limiti erano stati raggiunti. Il Demiurgo aveva ormai contezza del suo ribrezzo per l’umano e, tranne rare eccezioni, per tutto ciò che lo circondava.
Era una sensazione sempre più inequivocabile; albergava, al di fuori della logica matematica, come un dissidente di paesi in guerra senza visto d’espatrio. Impossibilitato e contrario all’andarsene. I tentativi risultavano nulli e, per quanto reiterati, privi di successo perché il livello di diffidenza non accennava a diminuire. Se pur con volti e sorrisi e parole di contatto l’universo intero appariva mascherato d’un viscido simbionte nero che tutto avvolgeva purché organico. Ed i moti di avvicinamento apparivano come divinità falsificate dal miglior truffatore. Di fatto entità volatili e volubili al minimo accenno di variazione nell’energia percepita.
Oppure si trattava di una sua percezione deviata e senza filo conduttore… anzi conduttore d’immagini maligne. Esse allontanano ed aumentano l’entropia che ristagna nel fondo del pozzo; colei che vince mentre l’empatia soccombe all’altare della misantropia. Una forma di eroina e di dipendenza usa e getta; un fast food dell’odio che si alimenta nel disagio e nell’intolleranza. Un chiosco d’avariati dolcetti marziani non ancora scoperto da Pathfinder nel quale il cliente è uno ed uno solo ossia lo stesso proprietario. Resta spalancata una bocca urlante in bulimica attesa di qualcosa che non arriva mai a saziare la fame.
Un Olocausto Tossico in avvicinamento nel turbinio di tempeste sabbiose dopo il quale tutto è scarto da ingoiare famelicamente affinché s’approcci la metastasi dell’emotività. Caustico sipario alle incrollabili certezze del Demiurgo… Raffinate microchirurgie del dolore.