Ti dicono che sei uno apposto. Tranquillo. Senza problemi.
Te lo dicono. Che sei riuscito a fare qualcosa di buono nella vita. Il lavoro, la casa, gli amici, magari un po’ di rispetto e tutte le stronzate che ci vanno dietro. Luoghi comuni. Tutti uguali. Tutti identici nelle loro tinte giallo canarino/oro. Nelle sfumature del caldo e dell’afa. Perchè le cose che ti dicono sono tutte lo stesso deserto al quale la maggior parte della gente sopravvive. Ancor peggio: si abitua. Allora non riesco a capire se io sono sballato, a quasi quarant’anni, ad interpretare tutte queste parole, che assomigliano metaforicamente a consolatorie pacche sulle spalle, come stronzate prive di verità. Perchè quando guardo i miei passi non trovo niente di giusto. E mi sorprendo. Di essere così incazzato nero da non aver mai capito che la rabbia era sempre là. E di essere triste per il niente che mi circonda. Il niente delle cose. Il niente delle persone: quello che fa più male e brucia più in profondità. Il niente che pervade anni vissuti senza coraggio d’andare oltre il pelo della sabbia. Il niente che t’infarcisce di sicurezze senza senso alla prova dei fatti. Alla realtà di tutti i giorni. Serve spesso e volentieri una miccia per far esplodere la bomba. E se tutto l’esplosivo è, ancor di più, compresso da anni di ‘fittizia tranquillità‘ l’unica speranza è in un’esplosione che distrugga tutto. Te compreso. Desiderando con tutto il corpo che, finchè bruci, la fiammata illumini il buio che ti circonda.