L’orizzonte continuava a perdita d’occhio interrotto qua e là da miraggi: bocche di vetro lucente che s’aprivano nel terreno come buchi spazio tempo; erano le fauci cristalline del pianeta rosso. Storie di millenaria colonizzazione sotto l’arroventato sguardo del Demone del Fuoco. Paranal: l’Alto nella montagna. E, dalla montagna, ne era disceso.
Gli scudi interpolavano l’irradiazione con un ticchettio iniziale simile a canne di bambù riversando suoni in modulazioni di frequenza scanditi da parole poco precise – le parole mai dette -. Amava camminarvi ma, per quell’arida terra, provava un sentimento di disgusto. Disgustava la terra e tutti gli esseri che la calpestavano.
Non c’era falsità nelle sue azioni semplicemente il menefreghismo della Divinità Solare CarboCeramica. Anni ed anni di passaggi sullo zenit bruciando – liquefacendo la vecchia umanità. Non era ammesso cedere al dolore della perdita, non era ammesso lacerarsi alla mercé del pensiero, non era ammesso filtrare l’universale virtù dell’ultra istinto. Essere – Divinità; abitante d’un mondo perfetto; elemento stesso d’imperfezione assoluta.
Il ricordo come veicolo del passato trasportante iterazioni malevole, votate all’annullamento del futuro stesso: percepiva tra le flange l’avvicendarsi della sottigliezza umana e del decadimento organico. Cronòtopo senza dimensione definita.
L’orizzonte continuava a perdita d’occhio interrotto qua e là da miraggi: brevi visioni di sogni mai nati, innalzate solo per esserne schiacciati. Scostò la mano e tutto fu fuoco. Tutto fu cenere.
Non sorrise.