La luce era solo uno spazio vitale proiettato oltre il vuoto, nella landa siderale.
Si accovacciò all’interno della capsula rigenerante come un feto nell’utero materno.
Non v’era più nulla di infantile in lui, l’essere umano un lontano ricordo nel dormiente sipario interrotto da vibrazioni psichedeliche.
Il vuoto freddo ed inospitale era prospettiva di pace e tranquillità duartura, di vita eterna nelle note del silenzio.
Premette i pulsanti fino alla formazione del primo superficiale strato di ghiaccio. Congelamento. Soffocamento.
L’ossigeno lentamente venne risucchiato da pompe idrovore fameliche. Morire per vivere della vita oltre la morte.
Avrebbe lasciato tutto e messo distanza tra esso e l’accozzaglia umanoide che appestava il suo tempo, la sua vista, il suo olfatto.
Era nauseato dalla carne, dall’odore bovino riscaldato al micro onde della pelle lucida di grassi epidermici.
Dormire, e mentre dormire, sognare, e sognare la sepoltura dei verminacei umani. Molluschi bavosi al cospetto della vita che termina.
Nel frattempo avrebbe dormito rischiarato dai soli morenti in passaggio-stato-gigante-rossa-nana-bianca.
La luce era solo uno spazio vitale proiettato oltre il vuoto, nella landa siderale.
Sogni.
La trasmutazione un repentino avvicendarsi nel clone di se stesso biomeccanicamente cablato tra pareti di vetro cemento policarbonato sofficemente seduto su sofà di raso viola fuxia il sangue non macchia la materia non scorre la mano non tocca.